Tra digitale e isolamento: il fenomeno Hikikomori

Immagine che rappresenta la solitudine tipica del fenomeno Hikikomori

Il termine Hikikomori fu coniato alla fine degli anni ’90 dallo psichiatra Tamaki Saitō che si trovò a riflettere su una tendenza sempre più crescente, tra gli adolescenti giapponesi.

Questa si concretizzava in comportamenti atti all’isolamento, alla mancanza di comunicazione e a uno stile di vita caratterizzato da un ritmo sonno-veglia completamente invertito.

Chi crede che quello del Hikikomori rappresenti un fenomeno da ascrivere esclusivamente al Giappone, probabilmente non ha tenuto conto del fatto che oggi sono svariate le ricerche scientifiche che certificano l’esistenza di casi sovrapponibili a quelli asiatici in nazioni come Francia, Spagna, Stati Uniti e Italia.

Se questi paesi si caratterizzano per una cultura radicalmente diversa da quella nipponica, è altrettanto vero che con essa hanno in comune l’ansia sociale -ormai diffusa in gran parte del mondo - che ben si lega all’ampio utilizzo che viene fatto della tecnologia da parte dei giovani.

In questo articolo ci concentreremo proprio su quest’ultimo aspetto, cercando di approfondire in parte le caratteristiche del fenomeno Hikikomori e del suo evidente legame con la rapida evoluzione tecnologica che ci stiamo trovando a sperimentare.

Il fenomeno Hikikomori in Italia e le sue cause

Una stima risalente al 2018 parla di 100 mila casi di Hikikomori in Italia, dato che dopo la pandemia è aumentato.

Oggi, a seguito di uno studio condotto da Sabrina Molinaro, ricercatrice ricercatrice dell'istituto fisiologia clinica del Cnr di Pisa, su 12 mila studenti intervistati il 2,1% attribuisce a sé stesso la definizione di Hikikomori.

La Dott.sa Molinaro aggiunge poi che, tra tutti gli intervistati, il 18,7% afferma di non essere uscito di casa per un tempo significativo - escludendo il periodo del lockdown -  e tra questi  l’8,2% non si è mosso per un tempo incluso tra 1 e 6 mesi.

Dati alla mano, è evidente che ci sia un problema su cui discutere.
Ma quali potrebbero essere le sue cause?

Se elencarle tutte significherebbe stendere un trattato di centinaia di pagine, si può comunque affermare che il loro denominatore comune è ascrivibile alla pressione derivante dall’ansia di realizzazione sociale.

Nel nostro paese, questa è determinata essenzialmente dal senso di inadeguatezza che si prova nei confronti dei propri pari, sentimento che ben si sposa all’uso massivo dei Social Network che non fanno altro se non incentivare una cultura del “confronto con l’altro” basato sull’immagine che si dà di sé.

Il sentimento alla base dell’Hikikomori

A seguito degli studi e delle ricerche condotte sul fenomeno, pare che il sentimento predominante che conduce i giovani all’isolamento sia quello della paura.

Paura di fallire, di essere giudicati per i propri insuccessi o di non essere all’altezza delle aspettative degli altri, che siano le famiglie, la scuola o i propri coetanei.

E qual è il comportamento primordiale che si mette in atto quando ci si sente minacciati da qualcosa? La fuga.

In questo caso, tuttavia, il vero problema è che non si riesce a identificare un pericolo reale.

Non c’è nessun animale feroce da cui fuggire - come accadeva al tempo degli uomini primitivi - e quindi spesso ci si scopre a identificare erroneamente nell’altro il nostro predatore, per poi scoprire che in verità ci si sta mettendo in salvo semplicemente da sé stessi.

Ciò non fa altro che generare ulteriore ansia e confusione, col risultato di rintanarsi sempre di più nelle proprie stanze in compagnia dell’unico strumento che oggi sembra garantire una reale protezione a tutto ciò: la tecnologia.

Il ruolo della tecnologia nell’Hikikomori

Se, come accennavamo in precedenza, l’utilizzo massivo dei Social Network pare essere alla base della pressione innescata dal confronto sociale, d’altro canto le possibilità offerte dalle più recenti novità nel mondo digitale sembrano rappresentare il rifugio ideale per tutti i giovani colpiti da Hikikomori.

I videogame in particolare, grazie alla recente integrazione di Realtà Aumentata, Realtà Virtuale e Metaverso, sembrano rappresentare la perfetta via di fuga da una realtà percepita come insostenibile.

Viene facile comprendere come, isolarsi all’interno di questi mondi paralleli, non faccia altro che generare ulteriore confusione, perché dà vita a una condizione assolutamente contraria a quelle che sono le predisposizioni naturali di ogni essere umano: relazionarsi con gli altri e condividere.

Va detto, poi, che più ci si isola nella propria stanza e si resta immobili, più il gap nei confronti degli altri che continueranno “ad andare avanti” verrà percepito come incolmabile, generando così un spirale da cui potrà apparire molto difficile uscire.

Come uscire dall’Hikikomori: essere presenti e non giudicare

Premesso che esistono realtà terapeutiche in grado di aiutare concretamente i giovani colpiti da Hikikomori (in merito, vi suggeriamo di visitare il sito https://www.hikikomoriitalia.it/), è senza dubbio importante sottolineare il ruolo che le famiglie ricoprono in merito.

All’interno dello studio precedentemente citato, un intervistato su 4 ha dichiarato che i propri genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande.

Questo non può accadere! La famiglia è la prima realtà su cui un adolescente che tende a isolarsi deve poter contare. Non si tratta, ovviamente di giudicare, quanto piuttosto di essere reattivi a determinati comportamenti ed attivarsi subito per rivolgersi alle adeguate figure di supporto.

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